Expat Life

Che cosa sta succedendo alla nostra generazione?

Se per i nostri genitori la strada che dovevano percorrere nella vita era, bene o male, una linea retta che prevedeva delle tappe fisse (studiare, trovare lavoro, sposarsi, riprodursi e contribuire alla crescita e al benessere del nucleo famigliare), per noi le cose sono cambiate.

Colpa di un sistema economico che non ci permette di trovare la nostra strada verso l’appagamento professionale, ma anche colpa di una società globale ed interconnessa, che ci mette a disposizione un volume di informazioni in tempo reale e che abbatte le difficoltà organizzative legate al viaggio.

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Arriva un momento nella vita in cui il nostro “io” comincia ad essere irrequieto, dove l’ “altrove” sembra essere molto più attrattivo del quotidiano, quando sembra che le nostre frustrazioni possano risolversi andando a scoprire il “diverso”. Che sia una decisione ponderata o una decisione di pancia, il risultato non cambia. Si chiude la propria vita in una valigia (piccola) e si parte. Si parte per staccare la spina un anno, per imparare o migliorare una lingua, per aggiungere un’esperienza al proprio CV ed, eventualmente, si parte per non tornare più.

Qualunque sia la destinazione scritta sul biglietto aereo che teniamo in mano, le cose non cambiano. Per chi decide di partire ci saranno le scariche di adrenalina date dalla paura dell’ignoto, mentre per chi vede volare via gli amici, un misto di orgoglio e malinconia. Una volta giunti a destinazione, passato il periodo dove tutto è nuovo e stupefacente, bisogna rimboccarsi le maniche e cominciare a ricostruirsi una vita. Trovare una casa, un lavoro e tutti i documenti che servono per lavorare, un hobby, il bar preferito dove andare a fare colazione e il pub dove andare a bere un birra, costruire una rete sociale. Faticoso senza ombra di dubbio, ma profondamente gratificante.

E poi bisogna adattarsi.

Quando si vive in un posto per periodi di tempo medio-brevi, non si fa in tempo a rendersi conto delle cose di casa che mancano. Per noi italiani, poi, mangiare all’estero può essere una sfida particolarmente ardua da superare! Ma ci si adatta a tutto. Ci si adatta a mangiare pane tedesco, a bere caffè e vini australiani, a non comprare di nuovo il burro salato, a sostenere una conversazione in inglese appena svegli, a sopravvivere all’assenza del bidet, a fare la pasta della pizza in casa, a bere l’acqua del rubinetto, a scoprire quali sono il tuo numero di scarpe e la tua taglia di pantaloni, ad essere da soli e non avere nessuno che si preoccupi per te e, insomma, a cavarsela puntando solo ed esclusivamente sulle proprie forze.

Personalmente, credo che il momento in cui si arriva nel posto che abbiamo eletto a nostra casa adottiva, per sempre o per un periodo, sia quello migliore, quello in cui sentiamo di poter fare e diventare qualsiasi cosa e che basta saltare nel baratro che ci si presenta davanti per poter realizzare i nostri sogni.

 

5 pensieri su “Expat Life

  1. io sono andata a vivere all’estero e poi sono tornata in Italia per amore, ma l’irrequietezza non mi ha lasciato e spero sempre di convincere mio marito a ripartire. che poi non è nemmeno facile espatriare, perché per quanto si stia bene sei pur sempre straniero. Eppure lo rifarei subito!

    • Non credo che l’essere straniero sia uno svantaggio, ma anzi! Avrai sempre un punto di vista differente ed originale e una marcia in più rispetto a chi è nato e cresciuto in quel paese 🙂
      Da questo punto di vista, le mie esperienze sono sempre state molto positive e ho sempre incontrato persone che hanno saputo apprezzare la mia diversità (prendendo in giro il mio accento, ovviamente!).

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